EMPATIA E ASTRAZIONE
Rankle & Reynolds ed Enrico Savi

Di Emanuele Beluffi

 

Il riferimento è illustre. Astrazione ed empatia è il libro con cui lo storico dell’arte Wilhelm Worringer diede un forte impulso agli studi novecenteschi di Estetica tematizzando la genesi dell’opera d’arte come incontro/scontro del soggetto col mondo esterno. E noi si è presa la licenza poetica d’invertirne i termini per illustrare questo nuovo esperimento di fusione – si veda il precedente testo critico, Fused, redatto in occasione della mostra milanese di Alan Rankle & Kirsten Reynolds – fra artisti di diversa formazione accomunati da una medesima relazione estetica con la realtà. Il fulcro di questa mostra è l’ottundimento del reale, cui danno forma l’alienazione del mondo nel caso del sodalizio artistico Rankle & Reynolds – nello specifico attraverso una rilettura della pittura di paesaggio – e il nascondimento di aspetti del reale a opera di Enrico Savi – qui il mezzo fotografico è il terminus ad quem dell’oscuramento dettagliato della raffigurazione. Entrambe le ricerche artistiche generano un al di là del visibile, non in termini metafisici – non v’è l’urgenza di indagare oltre il fenomeno percepibile – bensì restando ancorati alla terra ferma, esperienza estetica che nella fattispecie prende più la forma di un’iconografia della relazione propriocettiva del soggetto col mondo esterno. Ma il riferimento ad Astrazione ed empatia di Worringer non è solo di natura concettuale. Come si suol dire, invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia: Empatia e astrazione. Rankle & Reynolds + Savi significa due cose sostanzialmente: innanzitutto la straordinaria armonizzazione di opere che, muovendo da esigenze differenti e differenti mezzi espressivi, ottengono il medesimo impatto estetico a livello del visibilismo più puro. E, last but not least, la coordinazione di differenti gradi d’astrazione rispetto alla realtà. Se da un lato Enrico Savi, specialmente in occasione di questa sua nuova produzione, Obscured, orienta la propria ricerca sul nascondimento della realtà attraverso l’oscuramento di alcune particolarità del soggetto, andando quindi in certo senso ad astrarre il nascondimento rendendolo visibile rispetto a un’apparenza multisfaccettata, dall’altro Alan Rankle & Kirsten Reynolds, accordando pittura e fotografia rispettivamente in un unico processo creativo, reinterpretano il paesaggio attraverso ciò che precedentemente avevo definito come un vedere interstiziale delle cose, condizione in cui gli oggetti si vedono solo parzialmente, abbastanza per renderci consci che c’è qualcosa, ma non abbastanza per definirli senza il soccorso dell’esperienza, dando forma al mistero della Natura. La natura ama nascondersi, recita il verso di Eraclito (fusis filei kruptein). E nulla, per esemplificare visivamente tale verità, è più efficace di queste produzioni artistiche in mirabile accordo spontaneo, dove la realtà sembra proprio nascondersi in un gioco di astrazione ed empatia col soggetto.